Corriere Buone Notizie
4 febbraio 2017
di Cesare Cremonini
Viviamo in un periodo fortemente legato all’immagine, la musica oggi viene ascoltata in buona parte attraverso canali come YouTube o affini, che permettono di «guardarla» piuttosto che ascoltarla. Non ci sarebbe nulla di male, d’altronde fin dalla prima infanzia educhiamo istintivamente i nostri bambini ad affidarsi alla propria vista per sopravvivere e crescere: «Tenete bene gli occhi aperti, là fuori!». A me sembra che in questa frase si nasconda l’ingenua sopravvalutazione dell’importanza degli occhi rispetto alle nostre povere orecchie, che come sappiamo invece funzionano anche in assenza di luce, e sono generosamente aperte 24 ore su 24, domeniche comprese. Ma una società dell’immagine non è soltanto il sintomo di un’epoca caratterizzata da un velocissimo sviluppo tecnologico, il che è positivo. Allo stesso tempo agisce come un buco nero culturale capace di risucchiare dentro di sé ogni forma d’arte ed espressione artistica incasellandola sotto l’ambigua voce di «intrattenimento». «La musica aiuta a non pensare», sostengono alcuni. È vero anche questo?
Tutti sappiamo che la sua potenza ipnotica fornisce elementi grandiosi con cui alleviare la nostra esistenza dalla fatica del vivere, ma oltre a questo credo sia uno strumento molto prezioso grazie al quale possiamo imparare a conoscere e accettare qualcosa di noi stessi, degli altri, della società, in altre parole, dell’umanità. A volte è una questione di scelte individuali, ma non dobbiamo dimenticarci della responsabilità politica. Da tempo, come ci ricorda il grande pianista e compositore Daniel Baremboim nel suo libro «La musica sveglia il tempo», è in atto una disabitudine all’ascolto causata anche da un sistema di istruzione che ha separato la musica dalla formazione dell’individuo, dimenticando o facendo finta di dimenticare che l’educazione alla comprensione, (della musica come dell’altro), è fondamentale per la sopravvivenza di una società.
I greci lo avevano capito e consideravano la musica una parte fondamentale della saggezza necessaria persino alle cariche pubbliche. Aristotele avrebbe forse disdegnato la musica classica, discriminato quella elettronica o snobbato il rap? Non credo. Dobbiamo ricordarci che confinare gli artisti nel perimetro del passatempo vuole dire omologarli indebolendo la società. Cosi stiamo attraversando anni di musica «spalmabile», spesso destinata a fare da sfondo ai luoghi di passaggio senza disturbare, attraversando le nostre vite senza lasciare il segno. Aerei, treni, stazioni, filo diffusori, centri commerciali, computer, cd, telefonini, televisione; una serie infinita di «non luoghi» in cui la musica viene proposta senza alcuna pretesa di attenzione o comprensione. Ecco spiegato perché anche se oggi la musica è praticamente ovunque sembra così scollata dalla nostra società. La sua integrazione deve tornare a raccontarsi nei luoghi di formazione. Sviluppando il talento per la musica, esercitando l’abilità nell’ascolto e nell’interpretazione, si può apprendere una infinita quantità di informazioni utili per la vita. Leggere uno spartito impone una visione strategica e di insieme sul brano, il controllo della propria emotività, capacità di comprensione e relazione: quanto ci servirebbe questo nella complicata arte del vivere di tutti i giorni?
Ancora: in musica gioia e tristezza non lottano tra loro ma fanno parte di uno stesso processo emotivo in cui i sentimenti sono tutti importanti. Oggi invece si nota una fuga dal dolore che non lascia a nessuno il tempo di trasformare i traumi in esperienza e condivisione. Sappiamo peraltro che proprio la condivisione di una esecuzione musicale tra due bambini di culture o religioni o etnie diverse rappresenta una occasione unica di conoscenza e rispetto, un abbattimento di muri che nell’attimo in cui si suona insieme può avvenire magicamente, senza sforzi. Ma le interazioni tra musica e società non finiscono qui.
Anche i ragazzi che oggi rischiano di perdere il senso del dovere affogati dalla forza della passione possono essere aiutati a riscoprire la disciplina grazie all’interpretazione della musica, dove invece passione ed esercizio sono costretti a coesistere. Lo studio di uno strumento musicale in età molto giovanile permette di costruirsi una sensibilità più profonda, personale, legata alle migliaia di sfumature che l’animo umano può attraversare, e che solo la musica, il cui potere va ben oltre le parole e la realtà, può ancora rappresentare.
Parlo di potere non a caso, come non è un caso che le dittature abbiano sempre temuto la forza della musica cercando di controllarla o sfruttarla a proprio vantaggio. È quindi anche per difendere la nostra libertà di espressione che dobbiamo ricordarci che l’udito è il baricentro delle nostre idee. Non è un caso che l’evoluzione dell’uomo abbia posto il sistema uditivo vicino alle regioni del cervello che regolano il piacere e la sofferenza, le emozioni basilari del nostro vivere.
La nostra società e il modo in cui ascoltiamo musica sono in continua relazione e legate a un unico destino. La musica resta una costante di ogni epoca e no, non morirà mai, finché sapremo ancora ascoltarla. Scoprirla e non accettarla. Conoscerla e poi giudicarla. Capirla e quindi sceglierla per non subirla.
Lo stesso, credo, si potrà dire di noi e del nostro vivere insieme. Augurandoci che anche il contenuto di ogni composizione musicale, che sia di carattere colto o più leggero, possa tornare a raccontare chi siamo nel bene e nel male, con lo scopo di ispirare e invogliare le nuove generazioni all’ascolto e alla scoperta dell’infinita varietà dell’animo umano.