Il Resto del Carlino
settembre 2010
di Cesare Cremonini
E' notte fonda e la briscola con Luca e Barba non sta dando i risultati sperati. Che fare? L'occhio mi cade sui libri appoggiati alle mensole vicino al bancone dell'osteria. Uno scappellotto mi risveglia con due carichi in mano e uno scartino come briscola. Dal ghigno malefico di Luca capisco di aver perso anche quella partita. "Sai", dico rivolgendomi a qualcuno di indefinito fra i miei amici, "mi piacerebbe tradurre "Mondo" in dialetto bolognese". "Non dev'essere male!" Sulla mensola pochi attimi prima avevo notato uno dei miei libri preferiti in assoluto: il dizionario Itagliàn-Bulgnais. Una bibbia linguistica che dovrebbe regnare sovrana in ogni salotto dentro e fuori le mura della città dove non si perde neanche un bambino. "Dai...", mi risponde Luca. Sapevo di aver trovato un buon alleato. Alzo gli occhi al cielo cercando le parole che conosco: "A io vést un sit ch'am piès". Già sorrido. "Al s ciâma månnd...", aggiunge Luca. "Bello!" Luca è mio socio all'osteria, e mastica bene la lingua dei nostri nonni, (e in verità anche dei nostri genitori). Così bene che ascoltandolo non potei fare a meno di alzarmi, tornando al tavolo con in mano carta, penna, e vocabolario. E allora via. "Ai gîr in vàtta, al respìr, la mi vétta l'è sänpar intåuren". "Quasi quasi la canto così la prossima volta!" Il dialetto bolognese, come altri suoi simili, ha il dono della sintesi e della semplificazione come sua caratteristica peculiare. L'esempio per eccellenza? Quello napoletano, il cui dialetto è un capolavoro di genuinità. Ma cercando le parole giuste per tradurre la mia canzone, sfogliando le pagine del vocabolario, ho riscoperto ciò che solo un bolognese può apprezzare fino in fondo. Il Judo? "Lòta giapunaisa". Lo stress? "Tansiån nervåusa". Questa me la tatuo, penso. Il jet? "Aparàcc' a reaziån". Oppure alcune frasi che pur nel loro animo colorito, sono entrate a far parte del nostro modo di parlare e...pensare. Non avere un attimo per respirare? Beh, la traduzione ufficiale è "An avair gnanc al tämp ed scurżèr!". Ops! Perdonatemi, ma è così. Il dialetto bolognese arriva al sodo. Anche la poesia più ermetica, quella che un pò a tutti noi verrebbe da dire "bella eh, ma che vuol dire?", tradotta in bolognese risulta immediatamente chiara, limpida e perenne. In molti casi irresistibile. Così è nata l'idea di proporre al Carlino una rubrica strettamente domenicale, che durerà per tutto il mese di Agosto e poi chissà, dal nome "La rubrica de La Tigre". Con lo spirito da osteria che la caratterizza, cercherà di far nascere un sorriso fra le vostre labbra affamate di tortelloni e crescentine, traducendo le canzoni italiane più famose in dialetto bolognese. Da Vasco a Jovanotti, da Paolo Conte a Laura Pausini, scoprendo insieme, se ce ne fosse ancora bisogno, che i dialetti sono una risorsa immortale di vita e di storia. Per andare sul sicuro abbiamo coinvolto l'amico cantautore Fausto Carpani, grande esperto di musica e tradizione, che ha accettato generosamente di farci da guida tra gli accenti e le mille varianti del nostro dialetto. Una certezza. Già mi sto godendo il pensiero di "Questo piccolo grande amore" di Claudio Baglioni tradotto in bulgnais. Com'è che si scrive Luca?