Il Resto del Carlino
21 Marzo 2010
di Cesare Cremonini
Ho sempre pensato che per fare “beneficenza” non occorra finire in prima pagina. In fondo, mi dico ogni volta, se un artista vuole “dare una mano” non ha che da aprire il suo portafogli e donare il suo contributo come qualsiasi altro cittadino. Che si tratti di Africa o di ambiente, di ricerca o, come in questo caso, di salvaguardia di beni culturali. Ma piazza Santo Stefano significa qualcosa in più per me, e per tutti noi. E’ un nostro luogo-valigia, come direbbe il filosofo. Dentro a quella fetta di cielo capovolto c’è la parte più nobile dell’anima bolognese. Sotto ai portici che la circondano, la vista si apre all’incontro con la vita più che in tutti gli altri luoghi della città. C’è il nostro passato, ancor più remoto di quanto lo si possa ricordare, e il nostro prossimo futuro. Che ora è un presente importante, per cui abbiamo lottato tanto, e dal quale io non vorrei dividermi mai. Ammetto di aver pensato tante volte di voler “scappare” da Bologna, dal suo buffo ma diffuso provincialismo, dal suo ormai solitario volto notturno, dalle sue pesanti mura ideologiche, espressioni deformi dello stesso volto antico, ma pregio e difetto di un carattere cittadino a volte debole e fuori dal tempo. Il mio lavoro mi ha portato a viaggiare tanto, e viaggiare apre sempre orizzonti nuovi, che hanno molto da insegnarti ma purtroppo anche qualcosa da toglierti.
Quando cinque anni fa scelsi definitivamente di restare a Bologna, legandomi in modo indissolubile alle mie radici, al mio accento, alla mia terra, Piazza Santo Stefano divenne il simbolo di questa mia scelta. E così in quel giorno di novembre decisi di parlare di questo: vivere a Bologna vuol dire per prima cosa sceglierla, proponendo in prima persona la propria idea di città, di ambiente e di mentalità. «Canterei volentieri per Piazza Santo Stefano», ammisi inconsapevole di ciò che sarebbe accaduto. E lo stesso venne scritto il giorno dopo sulle pagine del Carlino. La mia mamma quando vide lo “strillo” di cartone appoggiato all’edicola di via Santo Stefano, con il mio nome in primo piano, a momenti non sveniva davanti alla tabaccheria, pensando che mi fosse successo qualcosa. Ma non era successo niente di brutto. Solo uno scherzo bello, dicevo, di quelli che poi ti mettono di buonumore anche se non te lo aspetti, e da cui puoi persino imparare qualcosa. Oggi imparo che Bologna cerca ancora Bologna. Che non ha paura e non è vero che si è addormentata, ma semplicemente vuole restare, o tornare, nella serie A delle città d’Europa.
Dopo quella telefonata, in poche settimane, il concerto per la Basilica si è trasformato rispetto a quella che era la mia idea, grazie ad una sorta di gran varietà di pensieri e proposte, mutandosi in quel che è ora: un evento più vario, una specie di straordinario buffet variopinto, in cui molti degli artisti, degli scrittori, degli sportivi, degli attori, o dei musicisti che amano Bologna, porteranno il loro piccolo o grande piatto da gustare, con il solo fine di raccogliere i soldi necessari alla ristrutturazione e alla manutenzione delle Sette Chiese. Ma si sa, quando si impara a sognare poi si fa una gran fatica a smettere, e noi bolognesi sappiamo bene che la fame vien mangiando. Allora approfitto della vostra pazienza per raccontarvi di un sogno a cui mi piacerebbe lavorare nei prossimi mesi, partendo proprio da questo piccolo passo, unendo gli sforzi di tutti. Un grande evento, questa volta però unicamente musicale, un film senza parole, da svolgersi nel vero cuore della città, proprio in quella piazza per cui canteremo uno alla volta o tutti insieme fra pochi giorni. Una serata che possa ripetersi ogni anno a inizio estate, in cui portare, anzi, trascinare con entusiasmo la grande musica italiana e internazionale, là dove “non si perde neanche un bambino”, nel vero centro cittadino. Con lo stesso obiettivo: salvare e rilanciare la nostra amata città. C’è un solo modo per far rivivere Bologna. Farla vivere.